Ettore Archinti è stato per tutta la vita uno scultore e per quanto la sua figura sia stata ampiamente studiata, mancano ancora approfondimenti storico-critici che chiariscano più approfonditamente lo sviluppo della sua ampia produzione artistica e le vicissitudini che hanno interessato la sua ricerca.
In questa sede condurremo un’indagine cronologica che evidenzi il rapporto stretto tra l’arte di Archinti e l’ambiente artistico milanese e indaghi il tema della sacralità nell’ambito della sua scultura funeraria per gettare le basi di una più ampia ricerca che vada a ricostruire l’intero percorso artistico di questa importante figura lodigiana.
I primi contatti tra Ettore Archinti e la città di Milano sono da far risalire al 1892, quando, ancora quattordicenne, vi si trasferì insieme alla famiglia da Lodi per esigenze professionali del padre Luigi, commerciante di tessuti[1].
A Lodi Ettore aveva intrapreso la professione di tagliapietre presso la bottega artistica di Tommaso Giudici[2], ma a Milano trovò lavoro come pasticcere in un’ofelleria[3].
Nel 1894 la famiglia tuttavia si vide costretta a rientrare a Lodi per l’improvvisa morte del padre[4]. Ettore continuò ugualmente a frequentare Milano e gli ambienti artistici milanesi iscrivendosi alla Scuola Serale Artefici presso l’Accademia di Brera, frequentando il corso di scultura. In questi anni visse con ogni probabilità a Milano avendo dichiarato alla segreteria della scuola di risiedere in via Fiori Chiari, a pochi passi dall’Accademia di Brera e di esercitare il lavoro di litografo[5]. Durante il corso di ornato si distinse tra gli allievi per le sue capacità e la sua sensibilità e fu per questo molto apprezzato tra i docenti, tra i quali Ernesto Bazzaro[6].
Nel 1898, all’ultimo anno della Scuola Serale per Artefici, Archinti prese parte all’Esposizione di Primavera organizzata dalla Società di Belle Arti di Milano in via Principe Umberto 32[7]. In questa prima grande occasione espositiva Ettore Archinti presentò uno Studio in gesso, collocato nella terza sala (Sala C)[8]insieme alle opere dei grandi protagonisti della pittura lombarda come Mosè Bianchi, Filippo Carcano, Leonardo Bazzaro, Emilio Longoni e Eugenio Gignous.
Nell’estate dello stesso anno Archinti venne richiamato alla leva militare e congedato nel settembre del 1900[9]. Riprese quindi i legami intessuti con gli artisti milanesi e i contatti con l’Accademia e i suoi insegnanti. In particolare coltivò il rapporto con lo scultore Ernesto Bazzaro e intensificò la frequentazione con il professor Eugenio Pellini che “(…) per il giovane allievo nutriva predilezione singolare”[10].
Spinto dal desiderio di approfondire i suoi studi artistici, nel 1902 partì per un lungo viaggio attraverso l’Europa che lo condusse a Parigi, Londra e in Russia oltre che a Istanbul, Vienna e Monaco di Baviera[11]. Tornato in Italia nel 1903 lasciò il suo domicilio milanese per trasferirsi definitivamente a Lodi dove si stabilì dapprima in via Callisto Piazza e poi in via Cavour al 25, in una stanza al pianterreno dove conobbe la famiglia Boccalini, amicizia che perdurò fino agli anni della sua reclusione in carcere[12]. In questi anni Archinti iniziò ad inserirsi nella scena artistica lodigiana realizzando monumenti funebri al cimitero Maggiore di Lodi ma con ogni probabilità continuò a viaggiare tra Lodi e Milano mantenendo vivi i rapporti intellettuali e artistici nati negli anni precedenti.
Nel 1905, infatti, partecipò nuovamente all’Esposizione di Primavera organizzata dalla Società di Belle Arti alla Permanente. In questa occasione presentò due opere: uno Studio dal vero e una testa in marmo intitolata Adolescentia[13] esposte nella quinta sala (sala E). Prendono parte a questa mostra oltre ad alcuni grandissimi nomi della pittura (Giovanni Fattori, Pellizza da Volpedo, Filippo Carcano, Luigi Conconi, Angelo Morbelli, Emilio Longoni, Pompeo Mariani…) anche lo scultore ed ex-insegnante di Archinti Eugenio Pellini che presenta una Capra in bronzo e una testa, sempre in bronzo, intitolata Stanca.
Dopo un ulteriore viaggio negli anni 1909-10, durante il quale tornò a Parigi e a Londra, visitando l’Irlanda, l’Islanda e i paesi scandinavi[14], Archinti organizzò nel 1911 una mostra curata da Ernesto Bazzaro a Palazzo Barni in corso Vittorio Emanuele a Lodi e tenutasi dal 23 maggio al 5 giugno. La mostra chiuse con un grande successo di pubblico e numerose vendite: lo stesso Vittore Grubicy acquistò numerosi pezzi che inviò alla sua galleria londinese[15]. Il rapporto tra Archinti e Grubucy è da far risalire con ogni probabilità alla frequentazione delle mostre del Palazzo della Permanente oltre che alle comuni amicizie milanesi – primo fra tutti Bazzaro -, tuttavia è importante sottolineare che la madre di Grubicy era una nobildonna lodigiana e non è da escludere un’amicizia legata anche ad ambienti lodigiani[16].
Nel 1912 ha inizio la lunga e travagliata vicenda legata alla realizzazione del Trofeo per il Monumento a Vittorio Emanuele II di Lodi. Solo nel marzo del 1913 infatti la ditta Johnson di Milano avvia la fusione in bronzo del Trofeo ma a causa di un deterioramento del modello in cera fornito dall’Archinti l’opera definitiva vide la luce solo nel maggio del 1913[17]. Nell’autunno del 1912 Archinti prese nuovamente parte all’Esposizione Nazionale di Belle Arti, organizzata appunto dall’Accademia presso il Palazzo della Permanente. Nella commissione, che si occupava dell’accettazione delle opere, figuravano tra gli altri Vittore Grubicy e Ernesto Bazzaro. In questa occasione Archinti presentò un’inedita macchietta in bronzo intitolata Piccoli affetti[18].
Del medesimo anno è la partecipazione al concorso Tantardini[19] con l’opera Misero retaggio: il soggetto, due anziane donne sedute, ripresenta ancora una volta il tema di un ciclo di opere, esposte alla mostra dell’1911 di Lodi, ispirate all’ospizio di Santa Chiara. Il Concorso, istituito dal Comune di Milano per i giovani scultori in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Brera, era un premio prestigioso. La commissione composta dal professor Michele Scherillo, Assessore municipale, dall’architetto Giovanni Beltrami e dallo scultore Eugenio Pellini oltre che dall’ingegnere Luigi Repossi e dallo scultore Alessandro Laforet, relatore. Misero Retaggio ottenne solo 2 voti su 5 con il seguente giudizio: “Tra le opere che tennero sospesa la deliberazione della Commissione è specialmente da segnalare il gruppo – Misero retaggio- di Ettore Archinti, opera seria e suggestiva; la quale alla maggioranza della Commissione parve mancata per insufficienza di forma e per notevoli squilibri di ossatura. Da una parte si sosteneva la felice visione del vero efficacemente espresso nell’atteggiamento e nello sfinimento delle due vecchiette dannate per sempre alla miseria; ma la maggioranza, pur riconoscendo la genialità della concezione, si accordò nel ritenere quest’opera ancora allo stato di abbozzo, lasciando però dubbio sulle doti scultorie dell’autore”. Eugenio Pellini dichiarò che “quest’opera era fra le migliori, anzi la migliore, e più suggestiva fra tutte in questo concorso; e fece minutamente rilevare le eminenti qualità di costruzione delle figure spontaneamente ed efficacemente sentite nell’insieme e nei dettagli, esprimendo il suo vivo rammarico per il fatto che ogniqualvolta si presentano alle pubbliche gare lavori di artisti geniali e sinceri, qual è l’Archinti, questi debbono vedersi sempre disconosciuti”[20].
Nel 1913 Archinti partecipò nuovamente al concorso[21] presentando l’opera Forse è meglio che tu non veda. La commissione era composta dall’architetto Gianchi, Assessore municipale, dall’ingegnere Mario Baroni, dall’Avvocato Luigi Maino, dallo scultore Francesco Confalonierei e dall’Architetto Luigi Conconi. I lavori presentati furono 23. 9 scelti durante la prima selezione, 4 durante la seconda votazione, 3 durante la terza. Venne poi selezionata vincitrice l’opera di Archinti. L’opera venne così giudicata: “ vera opera d’arte, per il concorso di sommo grado dei migliori e più importanti elementi: pensiero, forma, carattere, sentimento, espressione, originalità, semplicità, sincerità, tecnica, ecc.. di che ogni opera d’arte è costituita”[22]
Archinti presentò al concorso anche un’altra opera in marmo, una Niobe, realizzata su commissione della famiglia Mika Multinelli per la tomba di famiglia nel Cimitero di Vienna. L’opera venne presentata successivamente a Lodi, in esposizione nelle vetrine del negozio di strumenti musicali Arosio, all’angolo tra Corso Roma e Via XX Settembre[23] ma non ottenne critiche positive dalla stampa locale: “Ettore Archinti deve ispirarsi a soggetti che più al suo costume e alla sua anima di addicano. Artista di piaghe sociali, egli esprime efficacemente i tipi del mondo odierno nel vorticoso e febbrile agitarsi delle passioni, e perciò il tentativo di rievocare l’ellenica Niobe con figurazione di recentissimo stile non ha avuto lo sperato successo…”[24].
L’opera, vincitrice del premio, fu esposta durante L’Esposizione Retrospettiva e Contemporanea di Belle Arti della Famiglia Artistica che si tenne dal 10 ottobre al 10 dicembre presso il Palazzo della Permanente insieme ad altre due bronzi inediti intitolati Gli onori di casa e Ritorno da scuola. Parteciparono all’ esposizione, tra gli altri, gli scultori Medardo Rosso, Giuseppe Grandi, Ernesto Bazzaro, Eugenio Pellini, Giannino Castiglioni e Leonardo Bistolfi[25].
Nello stesso anno, la Famiglia Artistica, associazione milanese d’arte nata nel 1873, in occasione del 40°anno della sua fondazione, pubblicò un volume che raccontasse le vicende artistiche dei suoi soci più importanti. Tra i grandi artisti dell’arte milanese viene presentata anche l’opera di Ettore Archinti e illustrata attraverso una fotografia che raffigura il gruppo bronzeo Forse è meglio che tu non veda[26].
Anche, tre anni più tardi, nel 1916, Archinti prese parte a una nuova esposizione della Famiglia artistica, presentando un bronzo, intitolato La signora Giulia[27].
Ancora nel 1920 lo troviamo a Milano dove partecipa all’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Milano con un’opera in bronzo intitolata Onori di casa esposta nella quinta sala nella sezione scultura. Nel catalogo viene espressamente dichiarato che l’opera di Archinti non concorre a premi[28].
Nello stesso anno Archinti venne eletto sindaco di Lodi, un incarico che lo allontanò per quasi quattro anni dalla sua attività di scultore[29].
Nel 1924 espose nuovamente alla Permanente di Milano Cavatina in sol nell’ambito dell’Esposizione annuale [30] e nel 1925 alla Esposizione Nazionale d’Arte della Permanente ripresentando Forse è meglio che tu non veda[31] che viene venduta ad un acquirente al prezzo di 3000 lire[32].
Risale al 1925 la commissione da parte della Famiglia Favero della realizzazione di un monumento funebre all’interno del Cimitero Monumentale di Milano. Eseguì in questa occasione un tondo bronzeo in bassorilievo di Carlo Favero con, al suo fianco, rappresentata la statua della moglie a grandezza naturale, piangente per la morte del marito e un gruppo bronzeo di putti ai piedi della lastra tombale.
Nel 1927 la famiglia Boccalini si trasferì a Milano. Archinti si recava a Milano due o tre volte la settimana per andare a trovare le due sorelle che abitavano in Piazzale Dateo e soprattuto la madre, Antonietta Boccalini, che risiedeva in via Tommei. In questi anni viaggiava di frequente anche per raggiungere la compagna, Celestina, che viveva in via Meravigli[33]. Quindi, sebbene avesse domicilio a Lodi, trascorreva buona parte della settimana a Milano forse anche per sfuggire all’atmosfera di pesante ostracismo subita a Lodi[34].
Ma in questi anni Archinti inizia ad essere malvisto e osteggiato dal regime anche a Milano. Nel 1929 il prefetto di Milano inviò al Ministero dell’Interno una nota in cui sottolineava la pericolosità della posizione politica e sovversiva di Archinti[35].
Egli continuò ugualmente a tenere Milano come punto di riferimento per la fusione delle opere funerarie di grande formato che dall’inizio degli anni Trenta iniziò a realizzare per il cimitero Maggiore di Lodi: la Tomba Enghelmayer (1929) ad esempio fu fusa presso la Fonderia Carmeli di Milano[36], così coma la Pietà, per la Tomba Camagni, venne fusa in bronzo a Milano presso la Fonderia Artistica Carnelli.
Sempre a Milano, volle realizzare la fusione della sua ultima opera, mai compiuta, il San Francesco per la tomba Tacchini. Il 28 febbraio 1943, Archinti scrisse alla domestica, Paola Spaghi, le seguenti indicazioni:
“(…) poi favorisca scrivere al fonditore una cartolina pressappoco così: ‘lo scultore Archinti è spiacente di essere mancato all’appuntamento di lunedì scorso per il preventivo del S. Francesco in ginocchio, spera di poterlo fare prossimamente, non appena che l’arco di rami con spine, che ha portato sabato, sarà fuso e tintano con verde bruciato…Ecco l’indirizzo del fonditore: Luigi Locatelli fonderia artistica, in via G.B. Bertini n. 17, Milano”[37].
Note al testo
[1] E. Ongaro, Lettere. 1905-1944, Cooperativa Ettore Archinti , Lodi, 1978, pp. 10-11.
[2] Fu Tommaso Giudici il primo maestro di Archinti accendendo in lui “ da quell’adolescenza, l’istinto, lo stimolo e il gusto verso l’arte…” in G. Agnelli, Ettore Archinti, Tipografia “La moderna” Lodi, 1945, p. 7.
[3] Ibidem.
[4] ACLo, Anagrafe, Sgede Emma di Regorda, Ettore Archinti, ( emigrati a Milano 30 maggio 1890, immigrati da Milano 13 settembre 1892) in E. Ongaro, Ettore Archinti. Un testimone, Cooperativa Ettore Archinti, Lodi, 1978, p. 19.
[5] Registro Alunni Scuola Serale Artefici (1894-1898), archivio dell’Accademia di Belle arti di Brera, sotto il nome di Ettore Archinti;
[6] E. Ongaro, Lettere, op. cit. p. 20.
[7] Esposizione di Primavera 1898, catalogo della mostra, Tipografia C. Monti, Milano, 1898.
[8] Ivi, p. 18.
[9] E. Ongaro, Ettore Archinti, op. cit., p. 20.
[10] G. Agnelli, Ettore Archinti, op. cit., p. 8.
[11] Ivi, p. 9.
[12] Testimonianza delle sorelle Giovanna, Marta e Rosa Boccalini rilasciata a Ercole Ongaro il 5 aprile 1978, nastro registrato. Su gentile concessione di Ercole Ongaro.
[13] Esposizione di primavera 1905, catalogo della mostra, Esposizione Permanente, Milano, p. 47.
[14] E. Ongaro, Ettore Archinti, op. cit., p. 34.
[15] A. Micrani, Nel 1911 Archinti ‘rompe il silenzio’ con una personale che segna un’epoca, in “Il Cittadino”, mercoledì 10 luglio 2013, p. 31.
[16] Lo studio che stiamo approntando all’interno dell’Archivio Grubicy conservato al Mart di Rovereto potrà forse sciogliere alcuni interrogativi in merito a questo rapporto.
[17] E. Ongaro, Lettere, op. cit. pp. 53-63. La fonderia storica Johnson di Milano aveva sede in via Porta Nuova al numero 15.
[18] Esposizione Nazionale di Belle Arti, catalogo della mostra illustrato, Renato Romitelli&C., Milano, 1912, pp. 17, 19, 42.
[19] G. Agnelli, Ettore Archinti, op. cit. pp.11-12.
[20] Ibidem.
[21] Il concorso prevedeva che i partecipanti non avessero superato i 35 anni di età e per Archinti fu l’ultima occasione.
[22] G. Agnelli, Ettore Archinti, op. cit. p. 12.
[23] M. Arensi, “Nel 1911 Archinti “rompe ilo silenzio” con una personale che segna un’epoca”, nel Il Cittadino, 10 luglio 2013, p. 31.
[24] E. Ongaro, Ettore Archinti…, Lodi 1978, p. 44; La Niobe di Archinti in “Fanfulla da Lodi”, 11 aprile 1914.
[25] Catalogo dell’Esposizione Retrospettiva e Contemporanea di Belle Arti della famiglia artistica, catalogo della mostra, Milano, 1913, pp. 1, 8, 9. La presenza di Archinti in questa mostra testimonia la sua appartenenza al cenacolo milanese della Famiglia artistica poiché nel regolamento delll’esposizione è scritto (p. 15): “Saranno ammesse alla mostra opere di pittura, scultura e bianco e nero originali di artisti che fanno e hanno fatto parte della Famiglia artistica”.
[26] AA. VV., La famiglia artistica nel quarantennio della sua fondazione, Editori Alfieri&Lacroix, Milano, 1913, Tav LIII.
[27] Alla mostra annuale della Famiglia artistica milanese, in “L’unione”, 25 dicembre 1924.
[28] Catalogo dell’Esposizione Nazionale di belle Arti di Milano, catalogo della mostra, Tipografia Fratelli Treves, Milano, autunno 1920, p. 22.
[29] E. Ongaro, Un testimone, op. cit. , Lodi, 1978, p. 85.
[30] Catalogo Esposizione annuale Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente, catalogo della mostra, Milano, 1924, s.i.p.
[31] Esposizione Nazionale d’arte, catalogo della mostra, Stamperia e litografia industriale, Milano, 1925, p. 24.
[32] Così riporta il registro delle vendite del novembre del 1925 della Permanente di Milano.
[33] Testimonianza delle sorelle Giovanna, Marta e Rosa Boccalini rilasciata a Ercole Ongaro il 5 aprile 1978, nastro registrato. Su gentile concessione di Ercole Ongaro.
[34] Nel 1925 subì un attentato e nel 1931 gli fu rifiutata la possibilità di essere eletto nel Consiglio direttivo della Società di Mutuo Soccorso perché ritenuto una figura pericolosa.
[35] AA. VV., Ettore Archinti. Un testimone coerente, pubblicazione e video, Circolo Ettore Archinti, Lodi, 2009, p. 29. Nella lettera il prefetto scrive: “Archinti Ettore, ex Sindaco Socialista di Lodi, risulta di buona condotta morale e di cattiva condotta politica. Egli professa tuttora idee sovversive e tiene contegno di opposizione al regime. Lo si ritiene politicamente pericoloso”
[36] E. Ongaro, Lettere, op. cit., p. 83
[37] Ivi, p. 84
Eugenio Pellini
Comunicanda
1910
marmo
Ettore Archinti
Bambina
data unknown
marmo
Bazzaro Ernesto
capra
1913
bronzo
Ettore Archinti
Una madre
1939
bronzo
Paolo Troubetzkoy
Ragazza
1902
bronzo
Ettore Archinti
Primi lavori
1900-1905 circa
bronzo